La lettera fa parte di quel gruppo di scritti che noi chiamiamo, come già detto, pratici, in quanto vengono usati abitualmente dai cittadini nei loro rapporti sociali.
Dote principale degli scritti d’uso pratico è quella di servire validamente all’uso che se ne fa; devono essere perciò soprattutto chiari ed efficaci. Per rispettare tali caratteristiche bisogna tener presenti quattro fattori: naturalezza, proprietà, ordine e concisione.
Naturalezza
In questo caso ha lo stesso significato di sincerità. Nelle lettere, insomma, bisogna dire ciò che si sente, ci deve essere corrispondenza tra quello che si ha nella mente e nel cuore e quello che si scrive sulla carta.
Se non piace la poesia vuota e retorica, a favore di quella sincera, che esprime qualcosa di vero, tanto meno piacerà una lettera che puzza di ipocrisia.
Il direttore d’orchestra che non “sente” la musica che sta per dirigere, farà pessima impressione sul pubblico. Che cosa vuoi dire infatti l’espressione: “esecuzione formalmente impeccabile ma fredda”? Vuol dire che la padronanza dei mezzi musicali da parte del direttore era notevole, ma purtroppo per i suoi beniamini quello spartito proprio non lo apprezzava e il sottile astio e l’indifferenza da lui provati si riflettevano nel suo modo di dirigere. Uscireste voi a passeggio con una bella donna, la cui bellezza, per una di quelle misteriose reazioni dei nostri sentimenti, vi lascia indifferente? Non crediamo. Altrimenti vi trovereste nella penosa situazione di chi non sa che cosa dire.
E così è per le lettere: occorre “sentire” ciò che si scrive; lo stile deve essere fresco, inconfondibile, unico. A questo punto facciamo un’osservazione.
Può darsi che una lettera da noi ricevuta ci sembri poco sincera. Attenzione! Ciò che per noi, che abbiamo una certa sensibilità e un certo modo di vivere e di trattare con il prossimo, può essere espressione di poca sincerità, per un altro, vissuto in un ambiente diverso e abituato a un diverso rapporto con il prossimo, può essere invece espressione del suo modo abituale di manifestare i sentimenti.
Nel giudicare è facile sbagliare; è sempre meglio quindi essere prudenti e non catalogare una persona fra gli ipocriti, solo perché abbiamo ricevuto una lettera che noi non avremmo mai scritto così.
Proprietà
La lettera non è e non deve essere un’esercitazione stilistica e letteraria, ma neppure una pagina scritta con trascuratezza, piena di errori e d’improprietà di linguaggio, che rendono difficile a chi legge capire esattamente ciò che si voleva dire. Cercare di non mettere in difficoltà il destinatario, di non lasciarlo nel dubbio, di non farlo affaticare è segno di rispetto e di riguardo.
La lettera è sì, come molti amano definirla, una “conversazione scritta”, ma deve essere una conversazione pacata, riposata, pensata.
Molto spesso una parola può assumere, nell’intero contesto dello scritto, un significato diverso da quello che avrebbe se fosse inserita nell’alternarsi delle frasi a botta e risposta di un colloquio diretto. Può assumere cioè un significato non voluto da chi scrive che può dar adito a malintesi o generare incertezze. Questo difetto è generalmente il risultato della fretta, che ci accompagna ormai in ogni azione quotidiana e che sta diventando, purtroppo, un’abitudine mentale vera e propria.
Soprattutto se si tratta di una lettera importante, la fretta è sempre da escludere, perché essa non ci permetterà mai di scrivere bene.
Occorre al contrario concentrarsi, rileggere lo scritto una o più volte, facendo attenzione all’uso della punteggiatura.
Qualora la lettera non corrisponda esattamente a quello che avevamo in mente di dire, sarà necessario riscriverla interamente.
Oseremmo persino raccomandare, per le comunicazioni destinate a persone di riguardo, di preparare una brutta copia, che dopo le dovute correzioni, sarà trascritta con una calligrafia leggibile.
Ricordiamoci sempre che le parole volano e gli scritti restano. La lettera è un documento che rimane e può essere usato contro chi l’ha scritto; una parola sfuggita può venir corretta in tempo, ma a una parola scritta non sempre si può porre rimedio.
Ricordiamoci che scriviamo per gli altri e non per noi stessi e teniamo presente, anche nelle lettere, le esigenze del nostro prossimo, così diverso nei gusti
e nella mentalità.
Ordine
Dell’ordine necessario in una lettera abbiamo appena parlato.
Chiarezza, proprietà, diligenza, ordine sono dunque, ricapitolando, le doti necessarie a una lettera ben scritta.
Prima di tutto chiarezza: nei concetti, nella forma, nella calligrafia; poi proprietà nello stile, diligenza e ordine nell’impostazione.
Concisione
È assurdo affermare che la lettera deve essere breve in ogni caso. Molte volte la brevità può mettere in pericolo la chiarezza, può andare a scapito della cortesia, può creare equivoci, assurde incomprensioni, situazioni imprevedibili.
Se uno riesce a essere breve e chiaro, tanto meglio, altrimenti poco male che la lettera sia lunga, purché non risulti piena di inutili e insulsi particolari che annoiano e indispongono chi è costretto a leggerli, prima di arrivare al nocciolo della questione. Non brevità perciò, ma giusto mezzo, la cui valutazione è, tuttavia, lasciata allo scrivente, al suo buon senso
e al suo buon gusto.
Infine è bene sottolineare che una lettera, oltre a chiara, ordinata, misurata, deve anche essere esatta e sincera.
Passiamo alle parti della lettera.
La data
È importante metterla. Dimenticarla è indice di distrazione e di pigrizia.
Quindi, in alto a destra deve essere sempre messo il nome del luogo dal quale scriviamo, seguito dalla virgola e dalla data. Il nome del mese non sarà indicato col numero corrispondente (10 o X = ottobre) ma sarà scritto in lettere, per intero.
La data quindi deve sempre comparire, non soltanto nelle lettere d’ufficio — dove acquista importanza ai fini della scadenza dei termini per rispondere a una domanda, per concludere un affare o presentare un ricorso — ma anche nella corrispondenza privata e familiare.
Da non mettere assolutamente, perché non si usa più e puzza di antiquato, è “li” davanti alla cifra indicante il giorno del mese (li 30 agosto).
L’intestazione
L’intestazione è un complemento di vocazione, col quale ci si rivolge al destinatario e richiede, al termine, la virgola. Nell’intestazione bisogna evitare gli aggettivi troppo ricercati (non dare insomma dell’Illustrissimo e del Chiarissimo), ma conviene usare quelli più semplici (Egregio, Gentile) e quindi più adatti per stabilire un rapporto sincero e immediato con la persona alla quale ci si rivolge.
Su questo argomento, ad ogni modo, ritorneremo in seguito, quando daremo altri suggerimenti pratici per l’esatta stesura di una lettera.
L’esordio
L’esordio, cioè il “cappello”, la parte della lettera che introduce il discorso non è sempre necessario, anzi molto spesso è bene tralasciarlo. Ma se proprio non volete rinunciarvi, badate che non sia troppo lungo o ricercato, badate che vada d’accordo con il resto della lettera e soprattutto che non abbia un tono falso.
La narrazione o corpo della lettera
Dopo l’esordio, o dopo l’intestazione se questo manca, si va a capo, si fa il capoverso e s’inizia la lettera vera e propria. Il “corpo” della lettera sarà più o meno ampio, ma dovrà essere schietto come il vino, limpido come le acque sorgenti. Schiettezza e spontaneità sono le doti più importanti, che rendono viva e civile una conversazione tanto quanto rendono viva e civile una lettera che, in fondo, è una conversazione con gli assenti.
È impossibile suggerire gli argomenti di una lettera indirizzata ad amici o parenti, perché le occasioni che spingono a scrivere sono svariatissime.
Se abbiamo animo onesto e sincero, da esso affioreranno solo sentimenti onesti e sinceri. Cogliere questi sentimenti e offrirli con una lettera all’amico o al parente significa portare loro sollievo quando sono afflitti da una sventura oppure partecipare vivamente alla loro felicità. Sono queste le cosiddette lettere di condoglianze e di congratulazioni.
Nelle lettere comuni, quelle con cui si tiene viva una vecchia amicizia attraverso la corrispondenza, inizieremo con un riferimento all’ultima lettera ricevuta dall’amico e spiegheremo i motivi di un eventuale ritardo della risposta.
Parleremo poi di ciò che sta a cuore all’amico o di quello di cui ci ha chiesto notizia e successivamente parleremo di noi, della nostra attività, delle nostre speranze e dei nostri sogni. Non tralasceremo infine i saluti rivolti ai familiari dell’amico, ricordando eventuali cortesie da essi ricevute.
Essendo moltissimi gli argomenti che si possono trattare in una lettera rimandiamo, per averne un’idea e anche un modello di impostazione, al capitolo: “Modelli di lettere per ogni circostanza della vita”. Qui facciamo solo un’ultima generica osservazione: la narrazione o “corpo” della lettera deve avere preminenza nell’insieme dello scritto, mettendola in rilievo rispetto all’introduzione e alla chiusa.
La chiusa
Va scritta andando a capo e facendo il capoverso. Essa contiene, per consuetudine, qualche parola affettuosa, qualche attestazione di stima o di ossequio. Da noi non esistono regole fisse per le formule di commiato nella corrispondenza, come in molti altri paesi. Bisogna quindi affidarsi all’istinto e alla misura, facendo attenzione a non cadere in frasi troppo disinvolte e ampollose.
I “distinti saluti” appartengono esclusivamente alle lettere di affari o commerciali. Per la corrispondenza privata e personale si dispone di saluti affettuosi, cordiali, migliori e cari: a scelta.
Meno bello e gentile è chiudere una lettera con il solo avverbio (caramente, cordialmente, ecc.): è troppo sbrigativo e impersonale.
Chi scrive a un superiore deve concludere con: “Voglia gradire i miei rispettosi (o deferenti) saluti”. Una lettera di congratulazioni può chiudersi pressappoco così: “Ancora mille auguri e infiniti rallegramenti di tutto cuore”.
Scrivendo a una persona che ci ha beneficato si concluderà: “Con commossa gratitudine” o “Con rispettosa gratitudine”, a seconda dei rapporti che intercorrono tra benefattore e beneficiato.
Gli ossequi si riservano alle persone di grande riguardo e importanza. Anch’essi possono essere formulati in vario modo. La forma più semplice: “Con ossequio”, è sempre appropriata nelle lettere indirizzate a un’autorità (sindaco, prefetto, preside di una scuola, rettore di un’università) per la richiesta di documenti, certificati, attestati; in questo caso molti scrivono: “In fede” o “Con osservanza”. “Con deferente ossequio” è più cerimonioso e personale e implica un rapporto più diretto di conoscenza fra chi scrive e il destinatario; così pure le espressioni: “Gradisca i miei ossequi, i sensi della mia stima, della mia devozione, del mio omaggio, del mio rispetto”. A persona molto importante non si scriverà “Gradisca”, che è pur sempre un imperativo, ma “La prego di gradire, di accogliere”.
La firma
Dopo la chiusa, ecco la firma.
Deve essere chiaramente leggibile, anche se ha caratteristiche particolari che la rendono unica, irripetibile e diversa da ogni altra. Ciascuno ha un proprio modo di scrivere e di firmare, perché non c’è persona del tutto uguale a un’altra. La firma è espressione di una determinata persona, del suo io più profondo. Ognuno quindi firma a modo suo. Attenzione però a non abusare di questa libertà e inventività che ci è riconosciuta e concessa.
La firma certamente non deve essere una dimostrazione di calligrafia, ma non deve essere neppure un’accozzaglia di segni indecifrabili e di ghirigori. Generalmente si firma con nome e cognome, a volte con il solo nome, se la persona a cui rivolgiamo la lettera è un familiare o un amico.
Nelle lettere d’ufficio o di lavoro si può far precedere il proprio nome dai titoli accademici o professionali; titoli che bisogna lasciare nella penna quando si tratta di lettere private.
Il poscritto (abbreviato in P.S.)
Si pone dopo la firma. Si tratta di un accorgimento per aggiungere una notizia che ci eravamo dimenticati di scrivere o che abbiamo appreso dopo la stesura della lettera.
È sempre un atto di confidenza e quindi si può usare solo scrivendo ad amici o parenti.
Al poscritto, comunque, si deve ricorrere solo in caso di necessità. Esso non deve diventare una vezzosa abitudine o una specie di tranello.
Non dobbiamo cioè scrivere una lunga lettera, con una serie di inutili notizie infilzate come fichi secchi e relegare infine nel poscritto, quasi per caso, l’unica cosa importante che si doveva dire.
In questo caso il destinatario ha diritto di sospettare che il mittente non è del tutto savio e farà del suo meglio per interrompere la corrispondenza.
Altro avvertimento: il poscritto deve essere uno solo e deve essere breve, altrimenti diventa una seconda lettera e potrebbe dare adito al sospetto di cui abbiamo appena parlato.
Il nota bene
Ha una funzione diversa da quella del poscritto. Con il poscritto si cerca di rimediare a una dimenticanza; con il nota bene si mette di proposito una notizia o un avviso fuori dalla lettera, per sottolinearli.
Poiché nelle lettere di riguardo conviene non sottolineare niente, si deve anche evitare il nota bene. La lettera, a questo punto finalmente terminata, sarà messa nella busta piegata in modo che l’intestazione sia vista immediatamente dal destinatario.
L’indirizzo
L’indirizzo viene letto per primo, ma viene indicato per ultimo. Conviene infatti prima scrivere la lettera, poi metterla nella busta e infine scrivere l’indirizzo: si eviterà così il pericolo di scambiare le buste e di spedire a una persona la lettera destinata a un’altra. Le regole per un esatto indirizzo sono semplici. Bisogna scrivere chiaramente e senza cancellature, circa a metà della busta, nome e cognome del destinatario, preceduto dall’eventuale titolo professionale ed onorifico, anche nella forma abbreviata. Nella riga successiva saranno indicati la via (o la piazza) e il numero dell’abitazione; più in basso, il nome della città o del paese, accompagnato dal numero di codice postale. Esempio:
Egr. Avv.
Giuseppe Bianchi
Via Roma, 77
86047 Sepino
Oppure:
Gent.mo Sig.
Maurizio Marvuglia
Via Serra, 12
20157 Milano
Se la lettera è diretta all’estero si deve aggiungere il nome dello stato cui la città appartiene. In quest’ultimo caso può sorgere il problema: quale lingua usare per indicare il nome della città o dello stato straniero? Si deve scrivere in italiano o in tedesco, francese o inglese, a seconda che la lettera sia indirizzata in Germania, Francia, o Inghilterra?
Una regola, per altro non assoluta, è quella di scrivere il nome dello stato in italiano e il nome della città di destinazione nella lingua originale.
In genere, infatti, la grafia di molti nomi di città varia completamente se tradotti in lingua straniera, mentre il nome d’uno stato, anche se tradotto, è sempre facilmente riconoscibile; d’altra parte è il nome dello stato in cui la lettera è diretta che conta per l’ufficio postale italiano, mentre all’ufficio postale straniero interessa soprattutto il nome della città dove la lettera dev’essere recapitata.
Facciamo notare ancora: i titoli del destinatario nell’indirizzo potranno, come abbiamo già detto, essere abbreviati (dott., prof., avv.); non si abbrevieranno mai le qualifiche: signora, signorina, signor e non si abbrevieranno neppure i titoli che indicano un certo grado: Direttore, Ministro, Prefetto, Preside, Provveditore, Sindaco, Assessore.
Le lettere indirizzate a persone che si trovano in casa d’altri devono portare l’indicazione “presso” oppure l’abbreviazione ormai d’uso internazionale “c/o” (dall’inglese care of = a cura di). Conviene anche, dietro la busta, scrivere il mittente: nome, abitazione, numero di codice e città.
L’indicazione del mittente è sempre utile: permetterà, in caso d’irreperibilità del destinatario, di rispedire la lettera a chi l’ha scritta; mentre, se la lettera giungerà regolarmente a destinazione, ricorderà a chi la riceve l’esatto indirizzo del suo corrispondente.
Le forme abbreviate più comuni che si usano per l’indirizzo sono:
— Avv. = avvocato
— Cav. = cavaliere
— Chiar.mo = chiarissimo
— Comm. = commendatore
— Dist. = distinto
— Dist.mo = distintissimo
— Dott., Dr. = dottore
— Egr. = egregio
— Gent. = gentile
— Grand’uff. = grand’ufficiale
— Ing. = ingegnere
— N. H. = nobil uomo
— On. = onorevole
— Prof. = professore
Altri suggerimenti pratici
Dopo aver parlato delle caratteristiche di una lettera ben scritta e delle parti della lettera, non sarà inutile dare qualche altro suggerimento pratico.
L’iniziativa di scrivere spesso la prendono altri. Noi riceviamo delle lettere e dobbiamo rispondere. È bene rispondere sempre, anche alle lettere noiose, a quelle imbarazzanti, a quelle importune. Magari aggiriamo l’ostacolo, ignoriamo il doppio senso o meglio respingiamo la domanda, chiariamo l’equivoco, smentiamo l’ipocrisia: ma rispondiamo. Così facendo eviteremo di essere nuovamente infastiditi. Una lettera in generale suscita in noi, alla prima lettura. dei sentimenti e delle reazioni che poi si attenuano e svaniscono lentamente.
Se noi rispondiamo subito apriamo un vero dialogo con l’interlocutore, entriamo in sintonia con lui, gli diamo la soddisfazione di sentirsi compreso.
Se tardiamo nella risposta, probabilmente le nostre parole non faranno centro e arriveranno a destinazione, se non gelate, certamente fredde.
Quando poi riceviamo un invito o un dono, è segno di gentilezza e di educazione ringraziare immediatamente; quando ci viene chiesto un favore dobbiamo rispondere positivamente oppure far sapere al più presto che non ci è possibile accontentare il nostro interlocutore.
Quando ci viene chiesto un consiglio, siamo tenuti, anche solo per la fiducia e la stima dimostrateci, a rispondere appena ci è possibile.
L’intestazione della lettera varia in base al destinatario. Scrivendo a una persona di riguardo o a qualcuno che non si conosce è ormai uso comune esordire con un “Egregio”, seguito dal titolo accademico o professionale, o semplicemente dalla parola “Signore”.
Se esiste una maggiore intimità fra Io scrivente e il destinatario della lettera, alla parola “Egregio” si potrà sostituire un “Caro” (Dottore, Avvocato, ecc.). Un impiegato o un’impiegata si rivolgeranno a un superiore con: “Signor Direttore, Signor Avvocato”. A una signora si dirà “Gentile” o “Cara” e poi “Signora”, “amica” o il nome proprio, a seconda del grado di conoscenza o di amicizia che ci lega a essa. Se poi si scrive a una professionista, per ragioni strettamente professionali, si può e si deve chiamarla con il suo titolo accademico: “Gentile Dottoressa, Professoressa”.
Le qualifiche cavalleresche (Cavaliere, Commendatore, Grand’ufficiale, ecc.) di cui si fregiano soprattutto le persone che non hanno una laurea o altro titolo professionale, si devono omettere quando chi le possiede ha altre cariche. È assurdo dare del commendatore a un generale, a un ambasciatore, a un ministro.
Ai familiari e agli amici ci si rivolge comunemente con un “Caro” o “Carissimo” seguiti dal nome proprio o dall’appellativo del familiare.
Un’intestazione particolare è richiesta quando ci si rivolge a determinate categorie di persone, ad alte personalità del mondo politico e militare.
Diamo qui di seguito un elenco dei modi di indirizzarsi alle varie autorità.
Autorità politiche. Oggi ci si comporta in questo modo. Scrivendo al presidente della repubblica si incomincia: “Signor Presidente”. A un ministro del governo si scrive: “Signor Ministro”; a un senatore si scrive: “Senatore” oppure “Onorevole Senatore”; a un deputato si scrive: “Onorevole”; a un ambasciatore si scrive: “Signor Ambasciatore”; a un ministro plenipotenziario si scrive: “Signor Ministro”; a un prefetto si scrive: “Signor Prefetto”; a un sindaco si scrive: “Signor Sindaco”; ai presidenti del Consiglio della Corte di Cassazione, della Corte dei Conti, del Tribunale si scrive: “Signor Presidente”.
Autorità militari. A un militare ci si rivolge chiamandolo con il suo grado, quindi si scriverà: “Signor Tenente, Signor Maggiore, Signor Generale”.
A un ufficiale di Marina di qualsiasi grado superiore, eccettuato quello di Ammiraglio, si scrive: “Signor Comandante”.
All’Ammiraglio e al Contrammiraglio ci si rivolge chiamandoli: Ammiraglio.